UN CASO DI GRAFICA DA MOCKUP: LA PASTA DI CAPELLI


Nelle ultime 2 settimane sta diventando virale il progetto grafico di un graphic designer russo, Nikita Konkion, per un packaging di pasta: è tutto partito da un progetto pubblicato su Behance, sul portfolio del designer e poi si è diffuso a macchia d’olio.

Il concept su cui si basa il progetto è quello di  giocare con l’idea che vari tipi di pasta siano associati a tipi di capello e acconciature diverse, usando una finestra sagomata a forma di acconciatura per mostrare la pasta all’interno.
È piaciuto tantissimo e ci sono decine di persone che giurano che comprerebbero un pacco di pasta così al supermercato.
Il concept è divertente, ma la cosa interessante è quanto questo tipo di graphic design speculativo e poco concreto (che gira molto sul web e riceve migliaia di Like, wow e clap-clap) venga considerato un esempio da centinaia di persone. Chiunque lavori nel settore da un po’ ne deve aver visti parecchie di idee che sembravano fantastiche, ma che non hanno mai passato lo stadio di mockup (lo stadio della presentazione al cliente o al responsabile del progetto).
Quando si deve parlare di buona progettazione e creatività, non si sbaglia mai a citare Bruno Munari.
“La fantasia permette di pensare qualcosa che prima non c’era (anche cose non realizzabili praticamente) senza alcun limite.”
Il packaging in questione lo si può considerare un esercizio di pura fantasia, un progetto che, immagino anche nelle intenzioni del designer, non ha importanza che sia realizzabile praticamente.
Facendo degli esempi, provo a spiegare quali sarebbero i passaggi che dovrebbe affrontare quel progetto se dovesse andare in produzione e gli esiti che, secondo le mie conoscenze e la mia esperienza (dunque assolutamente opinabile), avrebbe.

FORMA E FUNZIONE

Per quali canali di vendita è pensata questa pasta?
Prendiamo l’acquirente tipo di un GDO (Grande Distribuzione Organizzata): siamo certi che apprezzerebbe questo tipo di packaging? Oppure lo disorienterebbe? La “pasta di capelli” sembrerebbe un gioco goliardico che non racconta niente sulla qualità del prodotto, e anzi, porterebbe con sé associazioni assolutamente negative (capelli nel piatto?!). 

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Gli entusiasti del progetto di Nikita sostengono che sì, il prodotto risalterebbe in un panorama monotono come quello dello scaffale della pasta. È vero, colpirebbe l’attenzione, ma questo non basta per determinare l’acquisto.
In più, ci si dimentica che l’ultima parola su cosa va in scaffale ce l’ha il proprietario della catena GDO (Coop, Esselunga, Carrefour, etc), quindi il packaging deve essere ritenuto coerente dal supermercato per poter essere venduto su quegli scaffali.
Il pack in questione potrebbe quindi essere rifiutato dalla GDO perché considerato troppo anomalo ed essere venduto allora in dei negozi di gastronomia: ha una grafica elegante che potrebbe andare bene per una tipologia di acquirente più informato, attento alla qualità del prodotto e disposto a spendere di più.Bene, peccato che in questo tipo di settore, quel packaging non risulterebbe più così atipico: dato che il prezzo al pubblico è più alto, molte tipologie di pasta sono confezionate in scatole di cartone dalla grafica elegante (e ben progettata). 
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La nostra pasta di capelli perderebbe quindi uno dei suoi vantaggi e punterebbe soltanto sul concept pasta-bellezza. Il problema è che in negozi del genere l’acquirente vuole comprare pasta di qualità: se la pasta di capelli è artigianale, dalla lunga cottura e dal buon sapore può competere con le altre, altrimenti dopo un mese (e un primo acquisto di prova) resterebbe a ingombrare gli scaffali.

CANALI ALTERNATIVI DI VENDITA

Si può allora immaginare che venga messa in vendita in canali alternativi, magari come gadget.
Pensate che bella idea sarebbe se i negozi di parrucchiera da donna facessero un pacco natalizio da regalare ai clienti e ai fornitori con queste confezioni di pasta.
Oppure se la pasta di capelli fosse venduta in negozi di oggettistica e di articoli da regalo: all’amico/a che ha appena inaugurato casa nuova, regaliamo un bella confezione da 10 di pasta di capelli. Sarebbe un regalo carino.Ma a questo punto, quanti pacchi di pasta si venderebbero rispetto ad una distribuzione nei GDO? 


 

IL PROGETTO GRAFICO È DAVVERO BEN FATTO?

Non bisogna essere degli esperti per capire che un progetto del genere forse non è così accurato come sembra:

  • si sceglie il bianco per dare idea di eleganza (ma la resa del cartone come sarà? il packaging è verniciato? opaco o lucido?);
  • si usa un font Slab moderno, un po’ lezioso ma ben progettato, per trasmettere un’idea di esclusività (ma il consumatore di pasta da GDO vuole questo? la pasta è un alimento quotidiano, non ha bisogno di imbellettamenti, ma di essere buono, economico e che tenga bene la cottura – almeno per noi italiani! –);
  • poi si usa lo stesso font, nello stesso peso (regular?), sia per il nome del prodotto (Pasta) che per il tipo di prodotto (Fettuccine); solo i minuti di cottura sono in grigio;
  • si usa un’illustrazione dallo stile vagamente anni 70 (?!), fatta abbastanza bene, ma probabilmente poco accattivante perché poco decisa nei tratti (che resa avrebbero stampati su un cartoncino alimentare?) e con gli occhi un po’ troppo piccoli (la grandezza delle pupille, secondo il neuro-marketing, è uno dei fattori che influenzano quanto l’immagine di un viso possa attirare l’attenzione!);
  • si usa l’immagine femminile per acchiappare, con una collana nera che faccia glamour e cena elegante, ma pensiamo davvero che una donna ultraquarantenne (che è la principale acquirente di pasta al GDO), sarebbe attirata da quel viso femminile appena ammiccante?

 

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FANTASIA VS CREATIVITÀ

La maggior parte dei commenti da parte dei grafici esalta l’inventiva del concept: “finalmente un’idea nuova”.
Ok, siamo d’accordo, il panorama della grafica da GDO è piuttosto monotono e comandato da uffici Marketing di dubbia sapienza e non sempre realizzato da progettisti di alto livello.
Ma davvero i capelli di pasta sono un esempio di packaging creativo?

La risposta è: NO.
Come dicevo prima, e lo diceva bene Bruno Munari, c’è una bella differenza tra fantasia e creatività, tra speculazione e concretezza.
La migliore definizione di creatività la dette il matematico Poincaré: l’unione nuova e utile di elementi esistenti.
E badate bene, la parola UTILE fa la differenza. E la fa soprattutto in un ambiente di progetto come il graphic design, in cui la grafica deve essere pensata in base alla sua funzione.
La forma non può essere disgiunta dalla sua funzione, dalla sua utilità e quindi dalla coerenza con il suo utilizzo.

Mi sembra che quando la comunità (se mai esiste) di creativi si solleva in questo modo e applaude all’unanimità progetti del genere perda di vista la funzione prima del graphic design, in cui l’estetica non è tutto.
Dà semplicemente sfogo alla voglia di essere apprezzati e capiti, al sentimento di rivalsa per la frustrazione di vedere bocciati i propri progetti. Eppure così va il mondo, le decisioni vengono prese per dei motivi e il rischio d’impresa di mettere in produzione un packaging che poi potrebbe fallire non sono in molti a volerselo permettere…

 

CONCLUSIONI

Progettare il graphic design è qualcosa di più di un esercizio di fantasia.
Il progettista ha l’obbligo di pensare al pubblico, alla funzione del prodotto, alla sua commerciabilità e ha il dovere professionale di non guardarsi sempre l’ombelico.
La frustrazione è una brutta bestia: converrebbe mettere in conto che un progetto possa essere approvato o meno, senza che questo intacchi la nostra autostima.
L’approvazione di un progetto è il frutto di tante decisioni, valutazioni e analisi che trascendono il più delle volte il suo aspetto estetico.

In conclusione, se io fossi un produttore di pasta non userei mai il il packaging dei capelli. Se fossi un acquirente non mi farei abbindolare dalla sua grafica e lo lascerei sugli scaffali.
Però, in fondo, Nikita è stato un esempio di progettista fantasioso e il suo progetto gli porterà sicuramente fortuna: quindi ben vengano gli esercizi di grafica speculativa, azzardati, folli, inventivi, anzi ce ne dovrebbero essere di più! ma non ci si resti male se poi non li vediamo realizzati nel mondo reale.


AGGIORNAMENTI
La condivisione di questo articolo su Facebook ha smosso una discreta discussione, ovviamente poco sui valori dell’articolo, di più sui valori di chi l’ha scritto.
Questo è un blog personale, quindi esprime le mie idee che cerco di argomentare nel migliore dei modi.


Ho anche tolto dall’articolo l’esempio di un pack da me progettato e rifiutato dal cliente: lo avevo inserito per far capire che siamo tutti sulla stessa barca e che so di quello che parlo perché ho un po’ di esperienza. L’ho tolto perché qualcuno ha detto che l’articolo è stato scritto per promuovere quel pack (che si trova comunque sul mio portfolio), che sono un frustrato, un vanitoso, etc (giudizi che si sommano a tutti gli altri con cui mi ha apostrofato la fantomatica comunità che frequenta un gruppo FB di cose da grafici).

Se vuoi approfondire il tema della creatività, puoi leggere questo articolo: riflessioni sulla-parola creatività.

 

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