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Riflessioni sulla parola “creatività”


“Creatività” è una parola abusata, svenduta a poco prezzo e “creativo” è diventato un aggettivo che non si nega a nessuno, nemmeno in negativo (ricordate la finanza creativa di Tremonti?).

Perché piace tanto questa parola?

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Perché ha a che vedere con l’onnipotenza: il suo significato letterale è “capacità di creare”
Fino a pochi secoli fa, questa capacità era considerata esclusiva prerogativa della divinità. Insomma un poeta rinascimentale non si considerava un creativo, ma un artista. La parola ha poi preso piede, almeno in Italia, a metà del Novecento, perdendo quel significato di forza creatrice, capace di inventare o di forgiare dal nulla, e prendendo invece quello attuale di capacità di produrre idee.

L’idea di parlare della parola “creatività” mi è venuta quando Massimo Gramellini, vicedirettore de La Stampa e banalizzatore televisivo di “Che Tempo che fa”, ha chiuso così il suo intervento al Festival di Sanremo: ”si finisce per credere che la creatività sia un dono riservato a pochi eletti: gli artisti. Invece tutti possiamo creare bellezza. Ce ne siamo solo dimenticati”.
Ora, come dargli torto?
Vogliamo togliere ai bambini la libertà di essere creativi?
Assolutamente no!
Eppure, banalizzando non si spiega. E in questo modo si crede che basti un po’ di Coccoina e delle forbici per essere creativi.

 

Una delle migliori e più utilizzate definizioni di creatività è quella data da Henri Poincaré: “la creatività nasce dall’accostamento inusuale di elementi disparati, che avviene a livello dell’inconscio e porta a un risultato utile”. E aggiunge che la forza creatrice si manifesta attraverso improvvise illuminazioni, segno di un fruttuoso e lungo lavoro inconscio precedente.

Insomma, la creatività è qualcosa di potente e davvero sconvolgente. Niente a che vedere con l’infornare un biscotto con gli occhi e la bocca…

Questa forza creatrice ispirata è ancora prerogativa degli artisti, degli innovatori, di grandi intellettuali, di fini pensatori, di grandi personalità: semplicemente perché sono abituati a coltivarla e l’allenano e la stimolano continuamente.
Secondo Annamaria Testa: “la creatività è uno stile di pensiero che si esprime in processi mentali caratteristici. Procede essenzialmente per associazioni tra idee, concetti, fatti, e dà origine a idee e concetti nuovi, invenzioni, scoperte: insomma, a risultati tanto originali quanto efficaci”.
Quindi una delle prerogative dei creativi è di generare idee nuove che siano utili ed efficaci. Quindi che possano effettivamente risolvere dei problemi e procedere attraverso un percorso di crescita.
E secondo Ian Gilbert, fondatore della Independent Thinking: “la creatività ha bisogno di una collisione di idee, qualcosa che non accadrebbe se le idee viaggiassero tutte nella stessa direzione”.
La creatività, quindi, contiene lo scarto improvviso, l’attimo di genio; ha bisogno di crescere all’interno di un modo di pensare originale, controcorrente, diverso.

La vera creatività si sviluppa dove domina l’immaginazione e il momento creativo è quel momento che più ci avvicina all’assoluto, al creatore, all’origine dell’universo o come vogliamo chiamarlo.

Creativo diventa una sorta di diminutivo di Creatore.

Ecco, la creatività non andrebbe ridotta ad una formuletta buona per tutti gli usi: è vero che tutti possono coltivarla ed essere creativi, ma non basta un po’ di divertimento e di fantasia per esserlo. Bisogna essere capaci dell’inaspettato.
E soprattutto bisogna essere capaci di aprirsi alla vera ispirazione, a quello che alcuni chiamano “A-Ha moment” (e di cui parlerò in un prossimo post).

Per concludere, mi sarebbe piaciuto che Gramellini avesse detto che per essere creativi bisogna rischiare qualcosa di più e uscire dalle proprie zone di conforto. E magari dare lui per primo l’esempio.

 

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