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La modernità senza tempo di Depero


Uno degli artisti che più di ogni altro ha influenzato l’illustrazione e la comunicazione visiva contemporanea è sicuramente Fortunato Depero, Futurista geniale e gioioso.

Depero nasce nel 1892 nel Trentino dominato dall’Impero Austro-ungarico; dopo che viene respinta la sua domanda all’Accademia delle Belle Arti di Vienna, si sposta a Roma, dove entra in contatto con il movimento Futurista e in particolare con il pittore Giacomo Balla.

Depero si definisce da subito uno scultore, e in effetti tutta la sua produzione visiva porterà impressa come un marchio questa sua predilezione per la tridimensionalità, tanto che la sua pittura rimarrà sempre volumetrica e solida. Insieme a Balla scrive il manifesto di “Ricostruzione futurista dell’universo” con il quale incomincia a definire una via gioiosa e rallegrante del Futurismo, che dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale si stava trasformando da avanguardia artistica in uno degli strumenti più potenti della propaganda fascista di lì a venire.

Depero, insieme a Balla, studia il dinamismo delle forme, la rappresentazione del movimento e cerca di trovare legami con il Dadaismo e l’opera di Duchamp, ma soprattutto è interessato a modificare ogni cosa del mondo che ci circonda. Partito anche lui per la Grande Guerra, si ammala e viene subito riformato, avendo sorte più fortunata rispetto ai futuristi D’Elia, Boccioni e Erba, caduti in trincea. E proprio la guerra farà da spartiacque tra le due fasi del Futurismo: la concezione di arte totale di Depero e Balla prenderà il sopravvento sulla vecchia concezione di arte museale e da esposizione, rendendo quell’avanguardia artistica davvero capace di entrare nella quotidianità della gente, grazie alla pubblicità, all’arredamento, agli allestimenti teatrali, alla moda, all’architettura, all’editoria e così via.

Fortunato Depero ha quindi una concezione rivoluzionaria dell’arte: non sopporta che resti chiusa in gallerie e musei, ma vuole che abbia una sua utilità,  un suo vasto mercato e soprattutto che possa entrare nella vita quotidiana di quanta più gente possibile. Nel 1919 fa ritorno a Rovereto e fonda la sua Casa d’Arte Futurista, per la quale progetterà oggetti, arredi, quadri, arazzi, sempre con un occhio alla riproducibilità delle sue opere. In questo si dimostra un Designer vero e proprio, tanto che nel 1932 progetterà per l’industria uno dei suoi capolavori artistici (arrivato fino ad oggi): la bottiglietta troncoconica del Campari Soda.

I Futuristi consideravano la pubblicità come «arte nuova del mondo moderno» e Depero ne fu il rappresentante più attivo con una produzione che dagli anni 20 in poi divenne intensissima: produsse soprattutto cartelloni pubblicitari per la Alberti (produttrice del Liquore Strega), la Schering (Veramon), le biciclette Bianchi, la Magnesia SanPellegrino, la Campari per cui realizzò centinaia di progetti e per molte altre aziende italiane che trovavano in lui quella colorata e moderna allegria che ben si addiceva alla spensieratezza del consumo e che i vecchi illustratori pubblicitari formatisi alla fine dell’Ottocento non avevano.

Nel 1928 si trasferisce a New York con la moglie per provare l’avventura americana: in due anni di permanenza lavorerà per committenti importanti come il Roxy Theatre, l’agenzia BBDO, i grandi magazzini Macy’s, progetterà gli interni di due ristoranti e copertine per riviste come Vanity Fair, Vogue e The New Yorker.

Quando torna in Italia dopo i successi americani, capisce che i suoi folletti e i suoi automi non piacciono più così tanto, il Futurismo sta prendendo altre strade e la propaganda pretende una visione più retorica della realtà. Si emarginerà sempre di più, pur rimanendo legato al movimento artistico di Marinetti e senza mai avere un attimo di critica o di ripensamento verso la dittatura mussoliniana, tanto che questa sua adesione incondizionata gli creerà più di un problema nel dopoguerra. Continua a lavorare per committenti minori, cambia lo stile della sua pittura e muore nel 1960 a Rovereto, lasciando tra le altre cose, oltre alla sua Casa d’artista (visitabile tutt’oggi a Rovereto, collegata allo splendido museo MART), una eccentrica collezione di panciotti (o gilet) che dipingeva e indossava lui stesso.

Seppure dal punto di vista storico la sua arte non la si possa scindere dalla sua adesione al fascismo, e quindi ad un certo opportunismo mercantile (ebbe a giustificare le sue scelte dicendo che aveva “bisogno di mangiare”), è innegabile che la sua intera opera sia stata di ispirazione per tutte le generazioni venute dopo.
Il suo incarnare l’artista totale, che non ha paura di misurare le proprie opere con la loro riproducibilità, anticipa i percorsi di un certo tipo di design (Munari in primis, anche lui aderente al secondo Futurismo) e la capacità, ad esempio, dei grandi artisti spagnoli Picasso e Dalì di capire che la loro arte potesse andare dovunque grazie alle riproduzioni, alle serie limitate di ceramiche, alle edizioni d’arte, al vendere anche solo la loro firma. Dunque aprendo le porte ad un modo commerciale di concepire l’arte. In più è innegabile che sia stato uno dei primi artisti moderni che abbia inteso se stesso come progettista e imprenditore della costruzione di un mondo complesso e assolutamente originale, in cui la creatività si sbizzarrisce dagli arazzi ai dipinti, dalle sedie ai gilet  e supera quindi gli spazi riservati all’arte, facendola diventare di uso quotidiano e accessibile ai più.

Lo stile volumetrico di Depero è tornato poi prepotentemente in auge con l’arrivo del digitale, quando l’illustrazione ha iniziato ad usare software che potessero mescolare facilmente la rigidità della geometria con l’imperfezione e l’asimmetria della pittura e del disegno. Il suo approccio alla pubblicità giocoso e colorato è stato d’insegnamento per molti art director che sarebbero venuti dopo, mentre i suoi fantocci, creati per gli allestimenti teatrali, sarebbero stati d’ispirazione per centinaia di illustratori, così come il dinamismo reso con la diagonalità di piani che si intersecano.

Tracce del suo universo visivo e del suo uso di colori e forme, seppure rivisitato e rigenerato, lo possiamo trovare in molti artisti e designer: in Sto e nel suo signor Bonaventura volumetrico, nelle sperimentazioni grafiche del già citato Bruno Munari, nei lavori a colori di Lorenzo Mattotti e in molti altri ancora.

L’unica cosa nella quale l’artista Depero non era riuscito con talento era la grafica: non aveva avuto la padronanza della tipografia che avevano i coevi Costruttivisti russi (El Lisitsky su tutti) e nemmeno la genialità degli artisti Art Deco nello sperimentare caratteri disegnati a mano, e anzi sembrava ignorare tutti i grandi progettisti di caratteri che proprio allora stavano cambiando la storia della grafica: dal Bauhaus (evidentemente di segno politico opposto alle sue idee) al lavoro di Gill in Inghilterra o di Cassandre in Francia.

Per concludere, una delle lezioni più importanti di Depero dal punto di vista stilistico è nell’aver amato le figure geometriche, ma non la simmetria, intuendo che la ripetitività era nociva al dinamismo dell’immagine, e quindi al suo essere interessante agli occhi dello spettatore.

 

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