Guido Catalano: quando la poesia è una terapia per il benessere
“Un tempo si credeva che lo zucchero si estraesse solo dalla canna da zucchero, ora se ne estrae quasi da ogni cosa; lo stesso per la poesia, estraiamola da dove vogliamo, perché è dappertutto.”
Gustave Flaubert
Uno dei luoghi comuni più fastidiosi che ci siano è che con la cultura non ci si campa. E che arte e pecunia non vadano d’accordo, come se un artista non potesse ricevere denaro in cambio del servizio meraviglioso che offre: l’ispirazione. Per fortuna c’è sempre chi va controcorrente e dimostra che coltivare il proprio talento possa essere una scelta giusta per costruirsi una professione.
Questa che racconterò è la storia di come sia nato un progetto economico intorno ad una delle figure meno economicamente vantaggiose: il poeta. Il poeta, nell’immaginario comune, è proprio una persona strana: scrive versi che capiscono in pochi, pubblica libri invendibili e, anche quando muore, al contrario ad esempio dei pittori, la sua fama, purtroppo, non si accresce. Anzi. Per di più, come amava dire Fabrizio De André, citando Benedetto Croce: “fino all’età di diciotto anni, tutti scrivono poesie; dai diciotto anni in poi rimangono a scriverle solo due categorie di persone: i poeti e i cretini”. (A quel punto, lui diceva di considerarsi un cantautore).
Anche la considerazione sociale di cui godono i poeti non è altissima: vengono ignorati mentre la poesia è divenuta un hobby da dopolavoro come il decoupage o l’uncinetto. Infatti ci sono concorsi, rubriche sui giornali, case editrici a pagamento che alimentano l’illusione di ogni hobbista di aver scritto dei capolavori.
E poi, ci sono i poeti quelli veri. Per dire chi sono non c’è bisogno di sapere quali riconoscimenti abbiano avuto (io sono anti-accademico per natura), ma, ad esempio, sapere quante persone amino profondamente le loro poesie.
Lo so, mi direte: anche Gigi D’Alessio ha tanto pubblico ma non per questo è un genio. È vero, ma il caro Gigi, come altri artisti, gode del lavoro di macchine promozionali mostruose che riuscirebbero a vendere lo stracchino ad una mucca.
Quello di cui voglio parlarvi, è un poeta che sta avendo successo, ottenendolo con il passaparola della gente, con 200 spettacoli e reading all’anno, con la pubblicazione di 5 libri, con un blog su Il Fatto Quotidiano che finisce regolarmente in prima pagina, la partecipazione a qualche programma tv (Rai3, La7, MTV).
Questo poeta si chiama Guido Catalano, ha la barba ed è di Torino.
Forse non lo conoscete e se leggete le sue poesie potrebbero anche non piacervi, ma dovete sapere che è amato alla follia da sempre più gente, ed è amato così tanto che provoca dipendenza: finisce che vorresti assistere ogni settimana ai suoi reading. Perché sono profondi, poetici e fanno molto ridere.
Moltissimo. Spesso fanno scompisciare.
È terapia allo stato puro.
Le sue sono poesie che d’improvviso ti cambiano l’umore e te lo innalzano a dei livelli tali che poi vuoi ascoltarle o leggerle di nuovo. Come una droga.
Lo so, sembro esagerare, ma parlo di un poeta che in un anno ha venduto qualcosa come 5000 copie del suo libro pubblicato da una piccola casa editrice. Senza grande promozione, solo grazie ai passaparola e ai suoi fantastici reading (qui trovate una selezione di video).
Ok, tutto molto bello, direte: ma dove sarebbe l’idea di business?
Qualche migliaio di copie vendute non è questo granché…
L’idea di business è di far uscire la poesia dai suoi soliti spazi di fruizione. E portarla altrove. Nella vita quotidiana (di tutti). E vi assicuro che le poesie di Guido Catalano sono perfette per questo scopo.
Sono semplici. E geniali. E semplicità e genialità sono ingredienti che spesso portano al successo di un’idea.
Ecco un esempio. Fra le tanti frasi esplosive contenute nelle sue poesie, ce n’è una da cui è partita l’idea che la sua poesia potesse andare ovunque: “Cogito ergo suco”.
Filosofia pura. Sul serio.
Magari la vostra provenienza geografica non vi fa apprezzare appieno la genialità (e la vischiosa profondità!) di questa frase. Mi sono detto: “questa la vorrei su una maglietta per l’estate!” e da lì ho pensato: “e perché no su una tazza mug o su di una borsa? e quanto persone potrebbero volere la stessa cosa?”.
Da allora, insieme ad un’altra persona, abbiamo iniziato a progettare e rivestire di poesia tazze, t-shirt, felpe, borse, bavaglini per gli infanti, ombrelli. Tutto quello che ci viene in mente.
E non credo che ci fermeremo mai, anche se qualcuno ci dirà che non è poesia, o che lo è e quindi non va bene usarla così.
Perché le cose quando piacciono diventano utili.
E questi oggetti sono tremendamente terapeutici: ad esempio, è fantastico fare colazioni con frasi così laterali, profonde, ciniche, visionarie. Tracciano solchi netti tra chi ha il gusto dell’intelligenza e dell’ironia e chi non ce l’ha. Immaginate come sia terapeutico (e rilassante!) per una ragazza indossare una t-shirt con scritto su “Sono cintura nera di solitudine“: quanti mosconi risparmiati, quanti cascamorti non si faranno avanti.
Sono oggetti che confortano perché trasmettono una visione del mondo particolare, che vien voglia di condividere.
Se mi fanno stare così bene, ho pensato, potranno servire anche ad altri. Così l’azione di comunicazione si è trasformata in una terapia basata sul buon umore e sul conforto per persone intelligenti, applicata mediante la poesia.
Alle volte chi fa comunicazione si affanna a raccontare, promuovere, progettare cose che non hanno anima, dimenticandosi dei progetti che un’anima ce l’hanno e che fanno stare meglio la gente.
Godetevi la terapia!
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