Se tutti sono creativi…


Siamo in un’era di grande creatività e innovazione, lo ripetono i giornali, il web, i politici e i giornalisti: il progresso umano non è mai stato così veloce e lanciato verso un luminoso futuro.
E tutti ne siamo parte, tutti siamo creativi e potenziali creatori di nuove idee: ci sentiamo splendidamente partecipi di tutto questo.

 

Eppure, questa creatività appare molto generica, le creazioni indistinguibili l’una dall’altra: in molti settori dell’arte applicata è difficile riconoscere l’autore nel mare immenso di immagini che fluttuano nel web.
Molte illustrazioni sembrano fatte dalla mano dello stesso autore, molti libri scritti per inventiva dello stesso autore, molti dipinti, molte opere d’arte contemporanee (installazioni, ready-made, video che siano) si confondono le une con le altre. L’indistinguibilità sta prendendo il sopravvento: in un’epoca in cui tutti si sentono creativi, la creatività si fa fatica a riconoscerla.

 

Sono le aziende stesse che ci spingono a creare, a partecipare a questo nuovo mondo in cui tutto è possibile: siamo consumatori-creativi che creano il mondo a loro immagine e somiglianza. Guidati, magari, dai consigli di quelle stesse aziende che ci vogliono spiegare quali siano i valori importanti della vita, dove stia l’originalità, la vera ispirazione e così via, ma in realtà cercano di formare la nostra personalità di consumatori-creativi. Non quella di creatori indipendenti.

 

Sono aumentate esponenzialmente le scuole che sfornano nuovi lavoratori creativi. Ma i creativi sfornati si assomigliano sempre di più, come i pani del fornaio Banderas dal forno del Mulino Bianco.
Sembra che in pochi riescano ad emergere dalla massa (come al solito del resto, come in ogni epoca).
Si è ormai diffuso un conformismo della creatività, perché la sua commercializzazione richiede categorie specifiche per target specifici.
Il marketing, come si diceva, si è appropriato della creatività, la usa per vendere e per produrre.
La creatività è un motore che tutto fa girare. Una parola chiave per lo scrigno del tesoro.
E che crea molta aspettativa: in molti vogliono riuscire ad essere unici, ed è uno sviluppo naturale dell’ideologia novecentesca del superamento del lavoro ripetitivo e alienante, del rapporto schiacciante padrone-lavoratore, della conquista di un tempo libero tutto da sfruttare per sviluppare la propria personalità e il proprio talento.

 

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Emergere

Eppure, i talenti continuano ad essere sprecati, la massa si allarga e il tempo non è poi così libero.
Credo che l’unico modo per uscire da questo nuovo anonimato creativo, sia di impegnarsi nel realizzare qualcosa di veramente Nuovo o di veramente Utile, che poi sono le basi di quella che è la definizione di creatività.

 

Ci concentriamo troppo su una ricerca puramente estetica di novità, di affermazione personale, di riconoscimento immediato e perdiamo il fine dell’utilità. La ricerca che dobbiamo fare è in profondità, e per farla serve impegno, intuizione e studio, a volte disciplina o follia, insomma servono dei motori potenti, che superino quella vanitosa voglia di emergere per essere riconosciuti e apprezzati che sembra l’unica spinta per molti creativi.

 

Per farlo non si deve mettere la bomba, fare i salti mortali, apparire, strabiliare, spaccare. Non è la notorietà l’obiettivo.
È scavando e immergendosi che si trovano i tesori, non grattando la superficie o tagliando il prato.
Il maquillage, il trucco, il botulino cambiano il nostro aspetto esteriore, la superficie, ma non intaccano ciò che sta dentro e più sotto, al massimo ci entrano in conflitto.

 

La conclusione è che per essere creativi davvero bisogna sporcarsi le mani, scavare, andare sotto, esplorare la giungla col machete.
Perché altrimenti creiamo arredamento, tappezzeria, decorazioni estive per il balcone che con l’inverno dovremmo riporre in cantina e il prossimo anno non piaceranno più a nessuno…


(Questa riflessione nasce dalla lettura di un articolo, denso e complesso, apparso su Doppiozero: Picasso e il suo demone)

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